giovedì 17 maggio 2012

es una clase de magia




Prima di partire pensavo che avrei iniziato a scrivere un blog ancora prima di salire sull'aereo. Una volta atterrata mi sono ritrovata travolta da così tante immagini-informazioni-sensazioni, da così tanti colori-ruomori-suoni-profumi, che l'idea del blog è rimasta bloccata in un cassetto immaginario per più di trenta giorni. Pensare a come descrivere e raccontare quello che vedevo mi dava la sensazione di "perdere l'attimo", di concentrarmi troppo su quello che avrei raccontato sul blog senza assaporare fino in fondo il momento, e, allo stesso tempo, la sensazione di ridurre il tutto a poche righe insignificanti, senza riuscire a trasmettere quello che avrei veramente voluto. Come quando si ha in testa un disegno e non si riesce a riportarlo sulla carta; quando si visualizza mentalmente un immagine, dei colori, delle sfumature che poi non si ritrovano nella foto scattata. 

Ora, dopo che le emozioni del primo mese stanno diventanto più familiari il bisogno di scrivere è diventato forte. Mi sono resa conto delle decine di domande che mi sono posta, immagini che ho visto, luoghi che ho frequentato, cibi che ho assaggiato, di cui non ho parlato, come se avessi prima avuto la necessità di darmi tempo di analizzare ogni pezzo del puzzle di questa esperienza memorabile che sto vivendo; della mia personale esperienza boliviana.

Ho quindi pensato che fosse necessario ripercorrere questi primi 36 giorni cochabambini e riportare alcune di quelle che sono state le mie sensazioni.

A partire dal viaggio in aereo di cui, causa la forte emozione che ho provato nel lasciare le persone e i luoghi che più mi stanno a cuore senza sapere cosa esattamente avrei trovato al mio arrivo, non ricordo molto. Il tempo del viaggio mi ha però dato modo di rendermi conto del distacco, della distanza fisica con tutto quello a cui ero abituata e a cui sono affezionata. Del viaggio mi è rimasa impressa un'immagine quando, dopo essere decollata nella notte da Madrid, ho rivisto il sole tramontare in un angolino di cielo sopra l'oceano.

Trentaquattro ore dopo mi sono ritrovata catapultata in una realtà completamente differente. Alcuni dettagli di Cochabamba li ho già raccontati. Cochabamba all'inizio appare rumorosa, colorata, caotica, inquinata, viva, veloce e lenta allo stesso tempo; le vie del centro sono un brulicare di macchine, biciclette, cani, uomini, donne, bambine, bambini, anziani, trufi, micro, moto (a volte con intere famiglie sopra). Cochabamba si muove ad ogni ora del giorno e della notte, sembra non dormire mai.

All'inizio, fermandomi ad osservare le strade, mi chiedevo come fosse possibile che tutto questo fiume di persone, animali e macchine si incastrasse alla perfezione; come fosse possibile che tutte quelle macchine e persone passassero a pochi centimentri l'una dall'altra in un incastro perfetto, quando basterebbe un microsecondo di ritardo per ritrovarsi investiti! Perchè qui le auto hanno la precedenza sempre e comunque sui pedoni, di qualsiasi genere, età e grandezza. tutt'al più suonano per indicarti semplicemente che devi toglierti di mezzo, l'idea di frenare non viene presa in considerazione. La strada è proprietà delle macchine.

Ad ogni angolo della strada, alzando la testa, si vedono decine di cavi elettrici ammassati su pali della luce, sui muri delle case, e mi sono chiesta come fosse possibile non ritrovarsi sotto una pioggia di cortocircuiti, ma poi le persone mi hanno tranquillizzato dicendomi che sì, ogni tanto succede, scoppia un incendio e devi solo sperare di non essere nelle vicinanze, ma capita raramente...
La stessa cosa l'ho pensata sotto la doccia osservando quello che avevo sopra la testa sperando di non restare fulminata, mentre tentavo di regolare la temperatura dell'acqua. Nelle docce, per riscaldare l'acqua, c'è un marchingegno montato direttamente al tubo dell'acqua e collegato, attraverso cavi, isolati con semplice nastro isolante, direttamente alla 220.

Mi sono presto resa conto che il centro di cochabamba, così come la Cancha, è suddiviso per settori/categorie: c'è la via dei parrucchieri, la via dei materassi, la via dei negozi con addobbi per feste, la via con negozi di ferramenta, la via degli ottici ecc. Cosa comoda quando ti ricordi dove hai visto il tal negozio, meno comoda quando, all'inizio, non ne hai la più pallida idea, e ti serve una cosa con una certa urgenza.

Mi affascina vedere che qui la gente la strada la vive a pieno, nei lati negativi ma anche in quelli positivi; in strada le persone vendono, comprano, mangiano, dormono, chiedono l'elemosina, parlano, ridono, litigano, cantano, ballano. Ho pensato a molti paesi europei in cui le strade e le piazze sono ridotte a semplici mezzi per collegare lati della città ed hanno perso la funzione aggregativa e socializzante che possono avere. La strada è anche il posto dei bloqueos, degli scioperi e delle manifestazioni che ormai sono diventati quasi quotidiani. Nella strada la gente prende posizione, manifesta il proprio disappunto. 

Cochabamba è rumorosa, ad ogni ora del giorno e della notte, scattano continuamente antifurto delle automobili, i conducenti suonano ripetutamente il clacson, la maggior parte delle volte senza motivo, forse solo per ricordare che ci sono...
Cochabamba è invasa da cani, di tutte le taglie, di tutte le razze; randagi o non, girano per le strade dei quartieri, a volte soli, a volte in branco, rovistano tra i rifiuti in cerca di cibo, giocano, litigano, dormono, la maggior parte di loro, per il momento, non mi ha degnato di uno sguardo.

 Nel primo mese a Cochabamba, in famiglia, ho mangiato decine di piatti tipici diversi (purtroppo di molti non ricordo il nome): dal Falso Conejo (carne di mazo con riso e una salsa) all'Anticucho (spiedino di cuore di manzo alla griglia con una salsa piccante); Dalle papas rellenas (patate ripiene di carne) alle varie zuppe (Sopa de quinoa, Sopa de maní Sopa de camaroncillo e così via); Dalla Parrillada (grigliata), alla Fricasé; dalle Salteñas (dolci o piccanti), al Majadito (riso, Charque, uova e banane fritte). Ingredienti chiave dell'alimentazione boliviana, oltre alla carne, sono le patate, il riso, la Quinoa e il mais. La Bolivia ha una varietà di patate enorme, chi dice 200 chi dice di più, alcune veramente ottime. Al mercato si trovano banchi carichi di patate, così come sulla tavola boliviana; patate dolci, rosse, gialle, nere, viola, grandi, piccole... 
Buonissima è anche la frutta: mango, papaya, mele, banane, uva, kiwi, chyrimoia, arance, ananas... sotto forma di macedonia o di succo, sono diventati parte della mia alimentazione quotidiana.

Forse la chiave di lettura per avvicinarsi alla Bolivia è: "varietà". A partire dal clima. La Bolivia è, infatti, uno degli otto paesi con maggiore diversità climatica della terra, passando alla varietà di tradizioni, musiche, danze, colori e sapori presenti al suo interno.

Tutto quello che all'inizio mi ha colpito, i contrasti e la varietà di situazioni, ora comincia a diventare più naturale anche per me. Mi viene naturale bloccarmi in mezzo alla strada, alzare la mano e richiamare l'attenzione dell'autista del trufi; il caos della strada è diventato un rumore noto, gli antifurti delle macchine fanno parte della mia "musica" quotidiana; le facce delle persone che vivono il quartiere stanno diventando più familiari, così come familiare era il "buenas tardes niña" detto dal signore della tienda accanto a casa, quando rientravo dalla scuola di spagnolo.

In questa città che ogni giorno è una nuova scoperta, per molti sono diventata Anita.


2 commenti:

  1. Brava Anita
    mi piace leggere le tue lettere e aspetto il prossimo capitolo

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  2. Anna, mi permetti di dare del tu..... è più simpatico così.....
    il tuo resoconto mi piace tanto. Le patate sono una meraviglia. Personalmente qualche anni fa ho avuto la fortuna di fare un viaggio in Perù e sono stata meravigliata di così tante varietà, ciascuna avendo la sua particolarità e il suo impiego. Una volta ci racconti anche del tuo lavoro?!
    Buona continuazione

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