martedì 29 maggio 2012

illimani


Questo fine settimana ho potuto finalmente visitare La Paz, e l'ho amata dal primo minuto!
Mentre riordino le idee per il prossimo post, dove scriverò le impressioni del mio primo mese di lavoro, ecco una foto dell'Illimani, scattata da El Alto, e una veduta sulla città di La Paz.




(L'Illimani è, con i suoi 6462 m, la montagna più alta della Cordillera Real e sovrasta La Paz.)




giovedì 17 maggio 2012

es una clase de magia




Prima di partire pensavo che avrei iniziato a scrivere un blog ancora prima di salire sull'aereo. Una volta atterrata mi sono ritrovata travolta da così tante immagini-informazioni-sensazioni, da così tanti colori-ruomori-suoni-profumi, che l'idea del blog è rimasta bloccata in un cassetto immaginario per più di trenta giorni. Pensare a come descrivere e raccontare quello che vedevo mi dava la sensazione di "perdere l'attimo", di concentrarmi troppo su quello che avrei raccontato sul blog senza assaporare fino in fondo il momento, e, allo stesso tempo, la sensazione di ridurre il tutto a poche righe insignificanti, senza riuscire a trasmettere quello che avrei veramente voluto. Come quando si ha in testa un disegno e non si riesce a riportarlo sulla carta; quando si visualizza mentalmente un immagine, dei colori, delle sfumature che poi non si ritrovano nella foto scattata. 

Ora, dopo che le emozioni del primo mese stanno diventanto più familiari il bisogno di scrivere è diventato forte. Mi sono resa conto delle decine di domande che mi sono posta, immagini che ho visto, luoghi che ho frequentato, cibi che ho assaggiato, di cui non ho parlato, come se avessi prima avuto la necessità di darmi tempo di analizzare ogni pezzo del puzzle di questa esperienza memorabile che sto vivendo; della mia personale esperienza boliviana.

Ho quindi pensato che fosse necessario ripercorrere questi primi 36 giorni cochabambini e riportare alcune di quelle che sono state le mie sensazioni.

A partire dal viaggio in aereo di cui, causa la forte emozione che ho provato nel lasciare le persone e i luoghi che più mi stanno a cuore senza sapere cosa esattamente avrei trovato al mio arrivo, non ricordo molto. Il tempo del viaggio mi ha però dato modo di rendermi conto del distacco, della distanza fisica con tutto quello a cui ero abituata e a cui sono affezionata. Del viaggio mi è rimasa impressa un'immagine quando, dopo essere decollata nella notte da Madrid, ho rivisto il sole tramontare in un angolino di cielo sopra l'oceano.

Trentaquattro ore dopo mi sono ritrovata catapultata in una realtà completamente differente. Alcuni dettagli di Cochabamba li ho già raccontati. Cochabamba all'inizio appare rumorosa, colorata, caotica, inquinata, viva, veloce e lenta allo stesso tempo; le vie del centro sono un brulicare di macchine, biciclette, cani, uomini, donne, bambine, bambini, anziani, trufi, micro, moto (a volte con intere famiglie sopra). Cochabamba si muove ad ogni ora del giorno e della notte, sembra non dormire mai.

All'inizio, fermandomi ad osservare le strade, mi chiedevo come fosse possibile che tutto questo fiume di persone, animali e macchine si incastrasse alla perfezione; come fosse possibile che tutte quelle macchine e persone passassero a pochi centimentri l'una dall'altra in un incastro perfetto, quando basterebbe un microsecondo di ritardo per ritrovarsi investiti! Perchè qui le auto hanno la precedenza sempre e comunque sui pedoni, di qualsiasi genere, età e grandezza. tutt'al più suonano per indicarti semplicemente che devi toglierti di mezzo, l'idea di frenare non viene presa in considerazione. La strada è proprietà delle macchine.

Ad ogni angolo della strada, alzando la testa, si vedono decine di cavi elettrici ammassati su pali della luce, sui muri delle case, e mi sono chiesta come fosse possibile non ritrovarsi sotto una pioggia di cortocircuiti, ma poi le persone mi hanno tranquillizzato dicendomi che sì, ogni tanto succede, scoppia un incendio e devi solo sperare di non essere nelle vicinanze, ma capita raramente...
La stessa cosa l'ho pensata sotto la doccia osservando quello che avevo sopra la testa sperando di non restare fulminata, mentre tentavo di regolare la temperatura dell'acqua. Nelle docce, per riscaldare l'acqua, c'è un marchingegno montato direttamente al tubo dell'acqua e collegato, attraverso cavi, isolati con semplice nastro isolante, direttamente alla 220.

Mi sono presto resa conto che il centro di cochabamba, così come la Cancha, è suddiviso per settori/categorie: c'è la via dei parrucchieri, la via dei materassi, la via dei negozi con addobbi per feste, la via con negozi di ferramenta, la via degli ottici ecc. Cosa comoda quando ti ricordi dove hai visto il tal negozio, meno comoda quando, all'inizio, non ne hai la più pallida idea, e ti serve una cosa con una certa urgenza.

Mi affascina vedere che qui la gente la strada la vive a pieno, nei lati negativi ma anche in quelli positivi; in strada le persone vendono, comprano, mangiano, dormono, chiedono l'elemosina, parlano, ridono, litigano, cantano, ballano. Ho pensato a molti paesi europei in cui le strade e le piazze sono ridotte a semplici mezzi per collegare lati della città ed hanno perso la funzione aggregativa e socializzante che possono avere. La strada è anche il posto dei bloqueos, degli scioperi e delle manifestazioni che ormai sono diventati quasi quotidiani. Nella strada la gente prende posizione, manifesta il proprio disappunto. 

Cochabamba è rumorosa, ad ogni ora del giorno e della notte, scattano continuamente antifurto delle automobili, i conducenti suonano ripetutamente il clacson, la maggior parte delle volte senza motivo, forse solo per ricordare che ci sono...
Cochabamba è invasa da cani, di tutte le taglie, di tutte le razze; randagi o non, girano per le strade dei quartieri, a volte soli, a volte in branco, rovistano tra i rifiuti in cerca di cibo, giocano, litigano, dormono, la maggior parte di loro, per il momento, non mi ha degnato di uno sguardo.

 Nel primo mese a Cochabamba, in famiglia, ho mangiato decine di piatti tipici diversi (purtroppo di molti non ricordo il nome): dal Falso Conejo (carne di mazo con riso e una salsa) all'Anticucho (spiedino di cuore di manzo alla griglia con una salsa piccante); Dalle papas rellenas (patate ripiene di carne) alle varie zuppe (Sopa de quinoa, Sopa de maní Sopa de camaroncillo e così via); Dalla Parrillada (grigliata), alla Fricasé; dalle Salteñas (dolci o piccanti), al Majadito (riso, Charque, uova e banane fritte). Ingredienti chiave dell'alimentazione boliviana, oltre alla carne, sono le patate, il riso, la Quinoa e il mais. La Bolivia ha una varietà di patate enorme, chi dice 200 chi dice di più, alcune veramente ottime. Al mercato si trovano banchi carichi di patate, così come sulla tavola boliviana; patate dolci, rosse, gialle, nere, viola, grandi, piccole... 
Buonissima è anche la frutta: mango, papaya, mele, banane, uva, kiwi, chyrimoia, arance, ananas... sotto forma di macedonia o di succo, sono diventati parte della mia alimentazione quotidiana.

Forse la chiave di lettura per avvicinarsi alla Bolivia è: "varietà". A partire dal clima. La Bolivia è, infatti, uno degli otto paesi con maggiore diversità climatica della terra, passando alla varietà di tradizioni, musiche, danze, colori e sapori presenti al suo interno.

Tutto quello che all'inizio mi ha colpito, i contrasti e la varietà di situazioni, ora comincia a diventare più naturale anche per me. Mi viene naturale bloccarmi in mezzo alla strada, alzare la mano e richiamare l'attenzione dell'autista del trufi; il caos della strada è diventato un rumore noto, gli antifurti delle macchine fanno parte della mia "musica" quotidiana; le facce delle persone che vivono il quartiere stanno diventando più familiari, così come familiare era il "buenas tardes niña" detto dal signore della tienda accanto a casa, quando rientravo dalla scuola di spagnolo.

In questa città che ogni giorno è una nuova scoperta, per molti sono diventata Anita.


domenica 13 maggio 2012

Battesimo boliviano


Un mese dopo il mio arrivo a Cochabamba ho avuto la fortuna di essere invitata ad un battesimo.

La cerimonia religiosa in chiesa è una cerimonia collettiva, vengono battezzati molti bambini contemporaneamente, da una quarantina ad un centinaio. Nelle feste boliviane, come il battesimo o il matrimonio, il festeggiato ha vari padrini: quello della musica, quello della torta, quello delle decorazioni, quello delle bevande e così via; onguno con un compito specifico.

Dalla chiesa di Quillacollo, cittadina vicina a Cochabamba, dove si è svolta la cerimonia religiosa, ci aspettano 40 minuti di Trufi (furgoncino che ha 8-9 posti a sedere) per arrivare alla casa della famiglia del battezzato. Il viaggio si trasforma in un complicato esercizio di equilibrismo, dal momento in cui ci viene detto che la madrina della torta ha avuto un contrattempo e ci ritroviamo in nove nel trufi, ognuno con una torta (senza scatola) sulle ginocchia. Il tutto diventa ancora più arduo dal momento in cui la strada diventa sterrata e le battute sulla sorte delle torte si sprecano...

Quando arriviamo alla casa - tutte e nove le torte intatte - ci ricevono tutti calorosamente. I genitori e i padrini del bambino, accolgono gli invitati ponendogli coriandoli bianchi sulla testa, come simbolo di buona fortuna, usanza a cui si risponde allo stesso modo. la musica tradizionale fa da sottofondo mentre ci viene offerta la cena, a base di carne, quattro varietà di patate e insalata, il tutto accompagnato da birra e chicha, bevanda che deriva dalla fermentazione non distillata del mais e di altri cereali. Una piccola quantità di Chicha o di birra viene sempre versata a terra in onore della Pachamama, la madre terra, prima di bere il resto.
Alla festa ci sono moltissime persone, tutte le famiglie del vicinato e moltissimi bambini. Anche in questa occasione non mancano i cani, presenti in ogni angolo di Cochabamba, che ci guardano con la speranza che condividiamo il nostro cibo con loro, prima di essere scacciati dai proprietari di casa.

Juan Diego ha 1 anno, lunghi capelli neri e occhi neri, indossa un completo bianco con un cravattino nero, passa tutta la serata avvolto nel coloratissimo aguayo di sua mamma e osserva silenzioso gli invitati. Dopo la cena i genitori del bambino ballano la cueca, una danza tradizionale praticata in gran parte dell'America Latina, con i vari padrini e madrine.
Momento centrale della serata è la cerimonia dell'uma rutucu, che in Quechua significa "taglio dei capelli". Tale cerimonia simboleggia la "nascita sociale" del bambino e prevede che la madrina (o il padrino) dell'uma rutucu tagli la prima ciocca di capelli al bambino e lasci un'offerta in denaro, la somma di denaro depositata non può essere superata dagli altri invitati. I genitori del bambino posano coriandoli sulla testa della madrina in simbolo di allegria e buona sorte e le offrono un bicchiere di birra. In seguito, con precedenza alle varie madrine e padrini del battezzato, ogni invitato taglia una ciocca di capelli al bambino e lascia un'offerta in denaro come buon augurio per il suo futuro. Al termine della cerimonia viene contato il denaro e messo nell'aguayo che la mamma del bambino indosserà per il resto della festa.
Dopo il taglio delle torte, tra un ballo e un brindisi a base di chicha, la festa continua fino a notte fonda...
La Bolivia è anche questo, quando un giorno che sembrava un sabato qualunque, passato a traslocare dopo un mese vissuto in una famiglia boliviana, ti riserva d'un tratto l'inaspettata fortuna di partecipare ad una cerimonia così importante. Poter vedere e assaporare le tradizioni boliviane da vicino, essere accolta calorosamente e invitata dai presenti a ballare le danze tradizionali, brindare con la famiglia... tutto ciò ha reso intenso ed affascinante poter partecipare a questo bautismo boliviano. Tra le tante cose mi rimarranno impressi nella memoria i grandi e profondi occhi neri di Juan Diego che, nonostante molti raccontassero dei pianti che sono soliti fare i bambini mentre gli vengono tagliati i capelli, è rimasto tranquillo per tutta la cerimonia, stretto a sua mamma, osservando chi gli tagliava le ciocche mentre una pioggia di coriandoli bianchi gli ricadeva sulla fronte.

mercoledì 9 maggio 2012

Cochabamba querida




Sono partita per la Bolivia con un “bagaglio immaginario” contenente i racconti di chi a Cochabamba ha vissuto, le immagini scaricate da internet, le descrizioni della guida turistica, le raccomandazioni di amici e parenti, e la consapevolezza che, fino a che non sarei atterrata, farmi un’idea di quello che mi aspettava sarebbe stato difficile, se non impossibile. 
Ormai sono a Cochabamba da un mese. Dopo aver terminato il corso di spagnolo intensivo ho iniziato a il mio stage e l’energia di questa terra, che fin dall'inizio mi ha colpito attraverso la natura, mi colpisce quotidianamente con i rumori della città e il traffico caotico. Motorini, moto, autobus, macchine, taxi, carri, biciclette, le strade di Cochabamba sono un brulicare infinito di mezzi di trasporto e persone.


Sicuramente le prime frasi in spagnolo che ho imparato sono "voy a bajar", "en la esquina por favor", e altre varianti; il centro di Cochabamba si raggiunge, infatti, con i mezzi pubblici. Le persone si spostano con i taxi-trufi (taxi collettivi), i micro (autobus di media grandezza) o i radio-taxi. I mezzi, ad eccezione dei radio taxi, si muovono su percorsi prestabiliti ma senza  fermate “fisse”, per salire o per scendere basta quindi comunicarlo all’autista, tanto che spesso accade di farmarsi ogni cinque metri...
Cochabamba è una città viva, energica, ricca di contrasti; il centro è caratterizzato dalla presenza di negozi, che spesso stridono nel loro accostamento: da un lato le grandi marche delle multinazionali, dall’altro le bancarelle del mercato principale (la Cancha) o i piccoli negozi di alimentari.
Cancha significa campo sportivo, anni fa, quando Cochabamba era di dimensioni ridotte, quella che oggi è la Cancha era un gruppo di bancarelle attorno al campo da calcio della città; quando c’era una partita i venditori accorrevano alla Cancha per vendere la loro merce. Piano, piano la città è cresciuta, ed i banchi della Cancha sono rimasti, diventando sempre più numerosi. Oggi, la Cancha, è una concentrazione di persone e di oggetti di ogni tipo, una distesa immensa di bancarelle, che non sono ancora riuscita a visitare completamente, un labirinto di banchi dove si può trovare qualsiasi tipo di bene: dalla frutta e verdura ai mobili; dalle tovaglie agli pneumatici; dai giochi per bambini all’oggettistica per la casa; qualsiasi cosa si desidera acquistare alla Cancha c’è!

Nei miei primi giorni a Cochabamba mi sono sentita travolta da mille emozioni diverse. Un po’ spaesata mi sono subito resa conto che Cochabamba è difficile da raccontare a chi non la vede. Una volta ambientata, osservando la città dall’interno, attraversando la Cancha, sedendomi sulle panchine della Plaza 14 de Septiembre, fermandomi ad ascoltare la città e ad osservarla nei suoi particolari, parlando con le persone che da anni ci vivono e vi sono cresciute, Cochabamba si sta rivelando in quella bellezza e particolarità che all’inizio, travolta da mille informazioni e immagini nuove, sfuggiva alla vista.