martedì 27 novembre 2012

Terzo articolo pubblicato a settembre 2012

Rivista del mendrisiotto - Settembre 2012

Il mio contributo rispetto alla nuova legge contro la violenza verso le donne che ricoprono incarichi politici.
Donne in politiva, vittime di violenza

mercoledì 7 novembre 2012

Il primo articolo sulla mia esperienza boliviana

Il primo articolo che racconta della mia esperienza in Bolivia, pubblicato nell'edizione del mese di maggio de "La Rivista del Mendrisiotto", bimestrale illustrato del Mendrisiotto e Basso Ceresio.


Articolo Anna - Rivista Mendrisiotto

lunedì 5 novembre 2012

Todos santos




Durante la festa di Ognissanti in Bolivia si onora la memoria dei propri cari defunti; il primo giorno di novembre si ricevono la visita delle anime, il secondo giorno le si congeda.
Il rituale di ognissanti si mantiene soprattutto nell’area rurale, è un rituale complesso ed un esempio del sincretismo tra tradizione precoloniale e tradizione cristiana importata attraverso la colonizzazione spagnola.
Il culto dei morti nelle Ande risale, infatti, ai tempi preispanici quando la morte era concepita in modo diverso dalle civilà Inca e Tiwanaku. Nella tradizione precoloniale, quando una persona moriva, la sua anima si riuniva con el Urkhu Pacha, il mondo di sotto, un mondo sotterraneo dove le anime vivono il ciclo della vita al contrario: nascono vecchie per morire giovani e tornare poi a vivere nel mondo dei vivi. La morte quindi, rappresenta una tappa del ciclo della vita, al contrario di quella che è la visione della religione cristiana. Non è vista come un fatto tragico, così, quando qualcuno muore, si dice che la persona “se ha ido” (se n’è andata) o “ha partido” (è partita). La tradizione vuole poi che le anime che tornano portino fertilità e fecondità per tutto l’anno, siccome novembre è anche l’epoca della semina nei campi andini, e l’inizio della stagione delle piogge. Questa tradizione rappresenta l’importanza della reciprocità nella cultura andina: i vivi alimentano i defunti attraverso i loro riti, e i morti intervengono per dare fertilità alla terra e rendere la pioggia abbondante.
Secondo i racconti dei primi coloni spagnoli, nella cultura preispanica, i corpi venivano sotterrati imbalsamanti e riesumati tutti gli anni, coperti con vestiti puliti e preparati per la festa, in seguito venivano riposti nelle proprie tombe con abbondante cibo. La chiesa ha condannato tali rituali, (anche se sembra che in alcune zone ancora oggi si dissotterrino i morti), mentre altre tradizioni sono rimaste e si sono fuse con quelle cristiane. Oggigiorno per rappresentare questo rituale, un familiare del morto si traveste per prendere le sembianze del defunto e partecipa alla festa, quando finisce la festa i bambini lo cacciano con foglie di palma per evitare che l’anima del morto abbia la tentazione di rimanere tra i vivi.
Secondo gli Aymara tutti veniamo da un Winñay Marka (villaggio eterno) e quindi la morte non esiste ma è solo un ritorno a questo paese. Le anime dei defunti accompagnano per tre anni i vivi, dopodiché, il terzo anno, salgono sulle montagne per tornare al mondo degli antenati (achachillas). Per questo motivo, per tre anni consecutivi si realizza un altare per accogliere le anime dei propri cari in un rito realizzato dai parenti del defunto durante todos santos.
Ognissanti diventa quindi la festa del riavvicinamento tra i vivi e i morti; nonostante la diffusione sempre più importante di halloween, questa tradizione rimane consolidata. Di generazione in generazione è stata tramandata la credenza secondo la quale alle 12 del primo di novembre, le anime dei propri cari defunti ritornano a far visita alle famiglie e agli amici, per 24 ore. Nelle aree rurali, questa tradizione è ancora più forte, nei cimiteri vengono allestite tavolate di cibo e tutte le famiglie si riuniscono in un importante rituale di incontro.
Ogni primo e secondo giorno di novembre le famiglie boliviane preparano un tavolo, o per meglio dire un altare (apxatas), con diverse offerte per ricevere le anime dei famigliari morti che hanno lasciato il mondo terreno. Durante la festa ogni famiglia prepara un tavolo con diverse cose come le t’antawawas (pagnotte dalla figura umana), corone di pane, scale di pane, biscotti, frutta, dolci, bibite, cibo, fiori, ecc. In cima al tavolo viene posta una foto del defunto e candele accese, chicha, foglie di coca, sigari e cosi via. Alcuni pongono anche croci e elementi religiosi. Ogni elemento he occupa la tavola ha il suo significato.

Le scale di pane, rappresentano l’aiuto all’ascesa al cielo degli spiriti e hanno una connotazione cattolica; le cipolle in fiore servono al defunto per portare acqua durante il suo viaggio; i cavalli e i lama di pane sono usati dal defunto per camminare nei cammini più difficili degli spiriti; anche i fiori hanno il loro significato, le ginestre in vaso, per esempio, servono per scacciare gli spiriti nemici e le maledizioni o vibrazioni negative.
 L’arrivo delle anime dei defunti si manifesta in diversi modi: attraverso rumori, colpi, nella forza del vento; attraverso i sogni, annunciando che stanno per tornare. Possono rimanere anche più di 24 ore accanto ai vivi a dipendenza del trattamento che ricevono. Parte del rituale è anche la costruzione del tavolo (altare) rituale, ciascuno degli elementi che lo compone ha un suo significato. Alcuni antropologi sostengono che rappresenti la montagna degli antenati dove vanno le anime dei defunti, il tessuto che ricopre l’altare può avere diversi colori: bianco se il defunto è un bambino, nero se è un adulto, l’aguayo colorato se è una donna. 
I famigliari si siedono attorno al tavolo e ricevono le visite di coloro che desiderano accompagnarli durante il rito di ricordo del defunto, con preghiere, canti e condividendo il cibo. Il giorno seguente si ripetono i canti e la musica, i famigliari sistemano l’altare sopra il tavolo del defunto. Alcuni altari carichi di cibo sono veramente impressionanti, e riflettono l’importanza della persona defunta e la ricchezza della famiglia.
A mezzogiorno inizia il rituale di congedo verso le anime che devono tornare al mondo sotterraneo; parte del rituale è un’abbondante pranzo, che darà alle anime l'energia necessaria per il viaggio di ritorno.

venerdì 28 settembre 2012

Día por la despenalización del aborto en América Latina y el Caribe


28 settembre, giornata per chiedere la depenalizzazione dell'aborto in America Latina e nei Caraibi.
Con alcune compagne dell'IFFI e donne di altre organizzazioni, come la plataforma de mujeres, abbiamo creato un'installazione artistica per sottolineare il diritto di ogni donna di decidere sola del proprio corpo. 

In America Latina e nei Caraibi, infatti, la maggioranza delle donne è costretta ad abortire in una situazione di clandestinità, in condizioni insicure e insalubri che rendono la loro dignità e la loro salute vulnerabili. In alcuni Paesi, come: Cile, Nicaragua, El Salvador, Honduras e La Republica Dominicana l'aborto è vietato in qualsiasi caso; in altri Paesi, dove si permette, secondo la legge, l'aborto per questioni di sicurezza medica o di violenza sessuale, l'accesso a tale pratica è tuttavia ostacolato dai settori religiosi o più conservatori della società che si oppongono alla possibilità di attuare l'aborto. 

Come descritto attraverso la campagna 28 de spetiembre, a cui aderiscono varie associazioni e gruppi di donne in America Latina e nei Caraibi, negare l'interruzione volontaria di gravidanza attraverso la legge, sottolinea l'esistenza di un meccanismo di potere e di controllo che agisce sul diritto di decidere del proprio corpo, sull'autonomia, sulla sessualità e sulle scelte riproduttive delle donne, ignorando le donne come esseri umani con piena capacità di prendere decisioni etiche rispetto al prorpio corpo e la proprioa vita. 

La realtà Boliviana dimostra come il fatto che l'aborto sia una pratica clandestina in molti casi non impedisce che venga praticata ugualmente, in luoghi spesso insicuri e in condizioni precarie. Il 10% delle morti materne è conseguenza di un aborto insicuro, questo si riflette nella morte di 65 donne ogni anno; ogni giorno, negli ospedali, vengono assistite dalle 10 alle 15 donne che hanno complicazioni a seguito di un aborto praticato in modo insicuro. Sono circa 50 mila ogni anno gli aborti clandestini praticati in Bolivia.

Quello che viene richiesto attraverso la campagna è uno sforzo del governo attraverso politiche pubbliche atte a prevenire le gravidanze indesiderate e a permettere alle donne che decidono di abortire di poterlo fare in condizioni sicure e legali.

"Quindi voi siete a favore dell'aborto?" chiede un signore che si avvicina al nostro stand. La signora che sta accanto a me gentilmente, ma con fermezza, risponde: "siamo a favore del fatto che ogni donna possa decidere liberamente del proprio corpo, senza il rischio di dover morire per portare a termine la sua scelta; che vengano incentivate campagne contro la violenza sessuale e a favore del diritto riproduttivo e sessuale di ogni donna, e con questo sottolineo l'importanza di campagne e politiche pubbliche per diffondere un educazione sessuale e diminuire i casi di gravidanze indesiderate". La nostra installazione artistica fa da sfondo a questa conversazione, c'è un necrologio in ricordo di tutte le donne che hanno perso la vita a causa di un aborto clandestino, durante il parto, o a causa dell'AIDS, del cancro al collo dell'utero, a seguito di violenze, del femminicidio e di altre conseguenze delle violazioni dei diritti sessuali e riproduttivi. Quattro candele illuminano una distesa di slip, ognuno con il nome di una donna accanto e un mazzo di fiori, ognuno riportando uno slogan diverso, per ricordare il diritto di ogni donna a decidere del proprio corpo. 

"los derechos sexuales y riproductivos son los mas umanos de los derechos"
...
"Educación sexual para decidir; anticonseptivos para no abortar; aborto para no morir"
...
"Las mujeres deciden, la sociedad respeta, el estado garanitza, las iglesias no intervienen"
...

martedì 7 agosto 2012

Historias de mujeres




Oggi ho avuto l'esperienza più intensa di questi primi 4 mesi cochabambini.

Stiamo lavorando ad un DVD interattivo che racconta al pubblico la storia ed il fuzionamento della nuova Ley de Acoso y Violencia Política contra Mujeres (legge contro la violenza e la persecuzione a capo di donne elette in politica). Il DVD fa parte di un più ampio progetto dell'UE, all'interno di esso verranno raccolte anche testimonianze dirette di donne coinvolte in posti di dirigente o in politica, ora o in anni passati. Una di queste interviste l'abbiamo raccolta stamattina.
Partiamo alle 10 dall'IFFI con Alex, il ragazzo che farà le riprese. Andiamo ad intervistare doña Claudina, ex consigliera municipale o ora presidente del mercato di Sipe Sipe, cittadina della provincia di Cochabamba.

Arriviamo al mercato, doña Claudina ci accoglie entusiasta, ci stava aspettando. Ci accompagna nel suo ufficio. Una volta preparata la telecamera iniziamo con l'intervista. Le chiediamo innanzittutto di presentarsi e di raccontarci di cosa si occupa. Doña Claudina è nata in un quartiere minero, dove vivevano i minatori. Suo padre era dirigente della miniera. Questo è un aspetto fondamentale della sua storia, come ci racconterà in seguito. 

Nel 2000 è stata eletta come consigliera municipale nel municipio di Sipe Sipe. Con un partito a cui lei si è iscritta poichè il suo fondatore era molto attento alle questioni di genere ed aveva molto a cuore il ruolo delle donne all'interno della società.

Nei primi mesi da consigliera le cose sembrano andare bene, doña Claudina decide poi di partecipare a degli incontri promossi dall'IFFI attraverso la plataforma de mujeres, attraverso essi, come ci racconta, impara ad avere più fiducia in se stessa e si rende conto di quali sono i diritti e i doveri che corrispondono (o dovrebbero corrispondere) ad una persona che ricopre ruoli politici.

Inizia quindi a fare domande rispetto alleleggi che vengono promulgate e alla gestione della spesa pubblica, molto spesso non si trova d'accordo con il modo con cui attua il governo municipale; i suoi obiettivi sono la legalità e la trasparenza verso i cittadini che l'hanno eletta. Ed è in questo momento che iniziano i problemi. Lei, e le altre signore elette insieme a lei, iniziano ad essere vittime di persecuzione e violenze gravi da parte degli altri membri del consiglio. Vengono derise, insultate, tentano di corromperle e minacciano direttamente, loro e le loro famiglie. Non devono intromettersi ("siete donne, nemmeno dovreste essere qui") solo firmare quello che viene loro chiesto e restare in disparte. Le violenze oltre che verbali e psicologiche, diventano presto anche fisiche. Doña Claudina ci racconta che lei è cresciuta con un padre minatore. In un quartiere di minatori. Sa cosa vuol dire lottare e  cosa vuol dire soffrire e nonostante le minacce rivolte verso la sua famiglia (che arrivano a tal punto che viene rapita sua figlia maggiore) e il marito che non la appoggia, segue la sua lotta ed è decisa a non dimettersi (come le viene più volte intimato).

Claudina ora è dirigente del mercato centrale di Sipe Sipe, si occupa della direzione del mercato è ha un suo banco di verdure. Dice che in molti l'hanno derisa ("guarda com'è caduta in basso, da consigliera a lavorare in un mercato") ma non si da per vinta e con l'aiuto di un avvocato sta tentando di ottenere giustizia per quello che le è accaduto nel corso degli anni, anche se fino ad ora nessuno è stato condannato. Non si pente di quello che ha fatto, di essere rimasta (nonostante le abbiano da subito tagliato lo stipendio) e di aver tentanto con tutte le sue forze di seguire la strada della legalità e di portare avanti il programma che aveva promesso ai cittadini, nonostante i tentativi di corromperla. 

Una donna che dimostra la sua forza e la sua dignità in ogni gesto e in ogni parola.

La legge (ley contra el acoso y la violencia política contra las mujeres) è stata promulgata dopo che il 20 marzo 2012, una consigliera municipale, Juana Quispe, è stata assassinata. In seguito a minacce e violenze fisiche e verbali che per 20 mesi le hanno impedito di esercitare il suo ruolo. 

Negli ultimi 12 anni sono state registrate 13 mila denunce da parte di donne, come indica Acobol (asociacion de consejalas de Bolivia), anche se poche sono state trascritte e documentate. Nel 67% dei casi le agressioni provengono da uomini, nel 33% da altre donne. Queste accuse si riferiscono a minacce, molestie, violenza sessuale, impedimento nell'esercitare la propria carica, incapacità di fare uso della parola, divieto di ottenere il proprio stipendio, e così via.

Per legge, in Bolivia, le cariche al consiglio municipale devono essere egualmente ripartite tra uomini e donne. Alle donne però, molto spesso, viene impedito di escercitare le proprie funzioni. La maggior parte di questi casi accade nelle aree rurali dove, come documenta Acobol, il maschismo è più radicato e il potere è in mano al sindaco e ai consiglieri (uomini).

Il progetto di legge contro le molestie e la violenza politica contro le donne è stato introdotto nel 2001, sono state necessarie tre legislazioni per veder promulgata la legge. In molti apprezzano questa legge, ma criticano la commissione legislativa, fatto soprattutto di uomini, per aver ridotto le pene massime.
La nuova legge stabilisce pene dai 2 agli 8 anni di carcere contro i trasgressori.

sabato 4 agosto 2012

Questo blog è nato con l'idea di sensibilizzare le persone rispetto alla realtà boliviana; fare una sorta di "confronto" con la realtà eruopea, confronto che vuole essere uno spunto di riflessione per prendere coscienza rispetto a diversi temi. Ho pensato però che la mia esperienza in Bolivia può essere raccontata anche in modo diverso. 
Quando ne ho l'occasione (durante i fine settimana o nei giorni festivi) cerco di approfittarne per viaggiare, per guardare il paese con occhi diversi. C'è un elenco di cose che potrei consigliare (fino ad ora) alle persone che sono interessate ad un viaggio in Bolivia:

  • Innazitutto consiglio di visitare questo paese meraviglioso! Al suo interno si passa da un crima tropicale, al clima arido dell'altipiano in poche ore. La Bolivia è caratterizzata da una bellissima diversità di clima, di temperature, di culture, di paesaggi...
  • Viaggiare in flota (autobus), magari di giorno, approfittando dei bellissimi paesaggi che si vedono attraverso il finestrino;
  • Visitare La Paz: città caotica, intensa, disordinata, colorata, internazionale, magica;
  • Prendersi il tempo di fare il viaggio tra Sucre e Potosì con il bus carril, più lento dell'autobus ma assolutamente sorprendete;
  • Viaggiare al lago Titicaca. Dormire almeno una notte sull'isla del sol e attraversarla a piedi, da sud a nord.
  • Immergersi per un paio di ore nella Cancha a Cochabamba;
  • Assaggiare i cibi tipici; 
  • Cercare di non programmare orari, date e destinazioni in modo maniacale ma munirsi della lentezza necessaria per gustarsi il viaggio come esperienza di vita; osservare svuotando la mente.
Molte volte mi sono ritrovata senza fiato osservando un paesaggio. Spesso mi sono ritrovata a sorridere osservando una scena di vita quotidiana. Molto spesso ho avuto spunti di riflessione più profondi.

Poco fa mi sono imbattuta in altri consigli, consigli di viaggio, scritti da Paulo Coelho. Li condivido al cento per cento:

1. Evita i musei. I musei sono importanti, ma quando ci si trova in una città straniera è più interessante scoprire il presente che andare a caccia del passato.
2. Vai nei bar. Sono i posti dove la vita delle città si manifesta, dove la gente va a prendere il caffè, a parlare del tempo e a discutere con gli amici.
3. Cerca di essere aperto. La guida migliore è qualcuno del posto, che conosce bene la sua città, ne è orgoglioso, e non lavora per un’agenzia di viaggi.
4. Cerca di viaggiare da solo o con il tuo partner. Evita i tour organizzati.
5. Non fare confronti. Prezzi, igiene, mezzi di trasporto: non confrontare niente. Non viaggi per dimostrare a qualcuno che la tua vita è migliore di quella degli altri.
6. Tutti ti capiscono. Anche se non parli la lingua del posto, non aver paura.
7. Non comprare troppo. Spendi i tuoi soldi per cose che non devono essere trasportate: biglietti per uno spettacolo, ristoranti, spostamenti.
8. Non cercare di vedere il mondo in un mese. È meglio restare in una città per cinque giorni che visitare cinque città in una settimana.
9. Un viaggio è un’avventura. Henry Miller diceva che è più importante scoprire una chiesa di cui nessuno ha mai sentito parlare che sentirsi obbligati a visitare la Cappella Sistina con altre duecentomila persone.


Persone che viaggiano in Bolivia ce ne sono molte, molti turisti, quasi tutti si concentrano negli stessi luoghi. Ma la Bolivia sembra essere ancora meta di quelle persone che viaggiano, penso di poter dire fortunatamente, alla ricerca di luoghi incontaminati.

giovedì 19 luglio 2012

Arani



Da un mese ormai, in Bolivia è iniziato l'inverno. Un clima diverso da quello a cui siamo abituati in Europa. Molto freddo la notte, temperature miti durante il giorno, tanto da uscire con giaccha e pile alle 8 e ritrovarsi quasi in maniche corte alle 13. La scorsa settimana, ha piovuto, evento raro in questo periodo dell'anno, e Cochabamba si è svegliata con le montagne che la circondano, innevate. È stato un risveglio con un atmosfera speciale, per tutta la città. La gente ammirava los cerros imbiancati, l'aria era fresca e nettamente più pulita. Quella stessa mattina ho accompagnato una mia collega di lavoro ad Arani, piccolo paesino a 56 km da Cochabamba.

Due venerdì ad Arani:

Saliamo in macchina alle 8, partiamo dall'IFFI attraversando la città, dirigendoci verso Sud. Percorriamo la strada costeggiando la Cancha che alle 8:15 è già un brulicare di persone, donne e uomini che vendono cibo ai lati della strada; fiori; giornali... I clacson risuonano nella strada, i trufi, i micro e i taxi cercano di avanzare nella marea di auto e persone che occupano la strada. Dopo pochi chilometri il caos comincia a diradarsi. Lasciamo la città, sui bordi delle colline si arrampicano decine di piccole casette costruite con mattoni di argilla, i loro tetti di lamiera luccicano al sole; qualche chilometro dopo appaiono grandi ville, in contrasto con le case della periferia di Cochabamba; la mia collega mi spiega che sono state costruite con i soldi delle rimesse dei boliviani emigrati all'estero.

La strada attraversa la bellissima campagna cochabambina, i colori della natura sono meno accesi a causa della mancanza di piogge ma i colori della Bolivia, il rosso della terra, il giallo dell'erba bruciata dal sole e il verde degli alberi, brillano alla luce del sole.

Arriviamo ad Arani, piccola cittadina, ci fermiamo al mercato a bere un Api, tipica bevanda dell'altipiano andino preparata con mais e cannella. Attraversiamo di nuovo il paese, lasciandocelo alle spalle, per salire verso Vacas, paese situato a 30 km da Arani. Passiamo accanto a varie case, quasi tutte hanno un forno costruito all'esterno per cuocere il tipico pane diventato molto famoso nella zona. Salendo lungo la collina la mia collega mi dice "guarda Anna, quello là in basso è l'elefante addormentato", guardo nella direzione in cui mi sta indicando ed effettivamente ci sono tre colline poste una accanto all'altra che danno vita ad un enorme elefante addormentato accanto ad Arani. La mancanza di acqua che caratterizza questa regione si nota sempre di più; mentre saliamo verso i 3400 m/s.l.m, la terra si fa sempre più arida e il freddo più pungente, nonostante il sole accecante.

Ci fermiamo alla periferia di Vacas per parlare con alcune delle famiglie che da più di un anno sono parte di un progetto a cui collabora anche l'IFFI. Nella regione il 75% delle famiglie è impagnata nell'agricoltura e nell'allevamento. Il progetto vuole contribuire all'empowerment delle donne della zona e alla diversificazione della produzione e della commercializzazione dei prodotti, promuovendo la generazione di reddito attraverso piccole iniziative, migliorando il settore lattiero-caseario e promuovendo la vendita dei prodotti nei mercati locali. Nell'ambito del progetto, che intende anche dare una risposta ai problemi nutrizionali delle persone della zona, soprattutto dei bambini, lavorando sulla sicurezza alimentare, è stato creato un fondo rotatorio per l'acquisto di mucche e vari laboratori sui diritti delle donne, lo sviluppo sostenibile e la cura dell'ambiente, così come un laboratorio di formazione sulle vaccinazioni e la cura delle mucche, organizzato con l'aiuto di un veterinario. 

Parliamo con le donne che stanno partecipando al progetto, quasi tutte parlano in Quechua, poche in spagnolo, io le osservo cercando di capire i loro stati d'animo, mentre una bambina gioca col cappello della mamma senza smettere di fissarmi e accennando piccoli sorrisi. Tutte sono soddisfatte di quello che hanno appreso attraverso i laboratori, e soprattutto dell'aumento della produzione e del miglioramento della qualità del latte con relativo miglioramento economico. 

Dopo aver raccolto le interviste delle prime 7 donne, torniamo ad Arani, attraversiamo il paese e ci fermiamo a parlare con altre signore. Tutte felici di vederci, e di raccontare al registratore la loro esperienza all'interno del progetto. Prima di tornare verso Cochabamba avvisiamo tutte che il venerdì seguente avverrà una piccola cerimonia per distribuire i certificati alle signore che hanno partecipato al laboratorio sulla vaccinazione e cura delle mucche.

Il venerdì successivo torniamo ad Arani. Le signore ci accolgono sorridenti ed entusiaste. Iniziamo la cerimonia di consegna dei certificati. Ci sono tutte le donne che hanno partecipato al laboratorio con il veterinario, accompagnate dalle loro famiglie. Ognuna delle partecipanti riceve anche una borsa contente il necessario per continuare a vaccinare le mucche. 

Rientrando a Cochabamba, dopo un pranzo condiviso con le famiglie, ripenso alle parole della ragazza seduta accanto a me durante il pranzo: studia economia all'università di Cochabamba, la sua famiglia ha partecipato al progetto, mi racconta che grazie al progetto la produzione del latte è migliorata, le mucche sono più forti e in salute, e anche gli altri laboratori organizzati nel corso dell'anno, le sono stati molto utili. 

Il sole è basso nel cielo, la neve sui Cerros, una settimana dopo la nevicata, si è ormai quasi dissolta, l'aria si è fatta di nuovo più pesante, da lontano riappaiono la foschia e le nuvole di smog, la terra è secca, l'aria pure, le auto diventano sempre più numerose e rumorose, il brulicare di persone nella strada si fa sempre più denso, ci lasciamo alle spalle la splendida natura della campagna, facendoci accogliere da Cochabamba, caotica e intensa come l'avevamo lasciata, e già ne sentivo la mancanza...


lunedì 18 giugno 2012

Album di Bolivia Querida

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Sucre e Potosí

il mio primo mese all'IFFI

Le prime esperienze fanno parte della vita ma, in questo contesto tutto quello che succede viene automatico analizzato più a fondo.
Mi ricordo indistintamente il primo giorno a Cochabamba, la prima cena con la famiglia, il primo viaggio in trufi, il primo giorno alla cancha, il primo assaggio di anticucho, il primo sorso di chicha, il primo giorno di lavoro, le prime punture di zancudo e purtroppo anche la prima volta in cui il mio stomaco si è rivoltato con tutte le sue forze contro la cena, ma a quanto pare questo è un primo passo verso la fine del "rodaggio" in questa nuova esperienza.

Allo stesso modo, a proposito di prime esperienze, è finito il mio primo mese di stage. (Mi sono accorta che tutto quello che avrei voluto scrivere renderebbe questo post troppo articolato e pieno di informazioni, quindi mi sono ripormessa di scrivere più spesso per non creare troppa confusione).

Sto facendo uno stage presso l'IFFI, un'Organizzazione non Governativa che si occupa della promozione dei diritti delle donne e che intende promuovere la loro partecipazione attiva all'interno della società e delle aree del processo decisionale, in modo da influenzare le politiche pubbliche e trasformare i rapporti di potere e di subordinazione esistenti nella società. L'IFFI mira alla costruzione di una società democratica, giusta, equa ed egualitaria in termini di diritti e opportunità, in cui le donne possano esercitare una cittadinanza piena e partecipare, al pari degli uomini, alla realizzazione di condizioni di sviluppo rispettose della diversità etnica, di genere e socioculturale.

Durante questo primo mese all'IFFI ho avuto la possibilità di conoscere più da vicino quelle che saranno le mie colleghe per un anno, e le campagne ed i progetti che sono stati portati avanti dall'associazione nel corso degli anni. All'IFFI lavorano principalmente donne, nell'ufficio ci sono solo 4 uomini. L'ambiente è molto stimolante e attivo, dandomi l'opportunità di imparare molto. Anche dal punto di vista delle relazioni umane, gli scambi che si creano tra colleghe/i e tra le persone che incontriamo attraverso le attività, sono molto arricchenti.

Le campagne e i progetti sviluppati dall'IFFI nel corso degli anni mi hanno colpito molto e mi hanno dato lo stimolo per riflettere e per fare un confronto, che penso sia automatico, con la realtà europea a cui sono abituata.

Tra le tante, le due campagne che hanno attirato di più la mia attenzione sono: la campagna a cui sto collaborando, dedicata alla valorizzazione del lavoro domestico e alla corresponsabilità dei ruoli in ambito familiare, e la campagna per una comunicazione con equità, portata avanti da 4 anni, dove vengono consegnati premi alle aziende che diffondono una comunicazione equa che promuove cambiamenti positivi nelle relazioni di genere (il "premio libellula") e "ammonimenti" (con l'"antipremio scarafaggio") a quelle che diffondono e rafforzano, attraverso i media, idee e valori patriarcali che bloccano e rendono più complicato il raggiungimento di una comunicazione improntata all'equità e alla responsabilità sociale.

Leggendo gli esempi di pubblicità ammoniti e premiati tra quelli selezionati dall'IFFI mi sono resa conto di quando anche la nostra società sia ancora lontana da una comunicazione senza stereotipi. Le pubblicità ammonite sono principlamente spot televisivi (ma anche annunci sui giornali, alla radio, cartelloni in strada ecc.) con messaggi che rafforzano stereotipi e dove la mascolinità patriarcale continua ad essere il referente maggioritario e la reificazione e banalizzazione del corpo femminile, così come il suo sfruttamento, rimangono presenti in diversi modi e con molta forza.

Pensate a quanto, ancora troppo spesso, i messaggi tramsessi attraverso i media in Europa, rafforzino stereotipi di genere: quando si pubblicizza un prodotto per la casa o per la cura dei figli quasi sempre è la donna ad essere la protagonista, rafforzando ruoli sessisti, mentre se si pubblicizza una bevanda alcolica, o prodotti utilizzati in maggioranza dagli uomini, i destinatari sono gli uomini e il corpo della donna viene utilizzato come oggetto per attirare l'attenzione, trasmettendo canoni di bellezza che non corrispondono alla realtà.

I messaggi trasmessi dalle aziende attraverso i media si rispecchiano con forza all'interno della società, alimentando pratiche e stereotipi. Molte campagne restano incentrate sulla donna come oggetto di piacere maschile e rafforzano l'idea della proprietà dell'uomo sulla donna, alimentando un'attitudine macista e di sottomissione che giustifica, molte volte, azioni di violenza sessuale.

La campagna sulla valorizzazione del lavoro domestico si concetra principlamente in eventi svolti con le donne imprenditrici appoggiate dall'IFFI, e le loro famiglie. Gli eventi hanno come obiettivo quello di raccogliere dati sul grado di sensibilizzazione delle persone rispetto a questo tema, tramite l'osservazione delle famiglie durante un'attività e la distribuzione di questionari. Nell'ambito di questa campagna ho potuto dare un contributo diretto creando un'attività da svolgere con le famiglie, con lo scopo di valorizzare il ruolo della donna all'interno della casa e della società. Molto spesso, dai dati raccolti, risulta infatti che sono le donne, pur lavorando anch'esse fuori dalla casa, ad occuparsi delle faccende domestiche e della cura dei bambini semplicemente perchè "così è stato insegnato" o "così deve essere". Attraverso le attività svolte all'interno di questa campagna si mira essenzialmente a sottolineare l'importanza della corresponsabilità dei ruoli tra uomini e donne nella cura dei bambini e della casa e la valorizzazione del doppio lavoro delle donne all'interno della società.

Alla fine di questo primo mese di stage ho potuto partecipare ad una fiera, in una delle piazze principali di Cochabamba, dove si sono riunite le imprenditrici della rete nazionale di donne imprenditrici, appoggiata dall'IFFI. Ognuna di esse ha venduto le proprie produzioni, vendendo oggetti tra i più variati, dalle collane ai prodotti alimentari, dagli oggetti decorativi a maglie in pura lana di alpaca, dai tessuti ai giochi per bambini, mostrando così il talento delle donne. Punto centrale della fiera è stato il marchio commerciale della rete, "Munama", che raccoglie i migliori prodotti (selezionati secondo qualità, disegno, finitura ecc.) venduti dalle imprenditrici durante tutto l'anno in un negozio nel centro di Cochabamba. L'IFFI appoggia la rete offrendo assistenza tecnica alle donne imprenditrici in modo che possano valorizzare al meglio i loro prodotti per offrirli al mercato e contribuire allo sviluppo economico della loro comunità e del Paese.

Questo primo mese di lavoro è stato molto produttivo e intenso, e sono sicura che attraverso questo stage potrò imparare molto, dal punto di vista professionale e umano.